Mettere piede dopo due anni a Palazzo amati mi ha lasciata senza fiato!

Fino all’aprile dello scorso anno era sede del corso di laurea in scienze della maricoltura, acquacoltura ed igiene dei prodotti ittici, oggi è solo l’ennesimo Palazzo incustodito. Un tempo, entrando nel Palazzo, si avvertiva subito l’odore del mare e la barca in legno con le “zoche” di cozze, posizionata all’entrata, ti ricordava la vocazione tarantina. Sabato 17 maggio, entrando, lo scenario era completamente stravolto.

L’odore di muffa, la barca rotta, il pavimento ricoperto da terra e frammenti di conchiglie appartenenti alla collezione presente a piano terra. Tutto rivoltato, rubato, distrutto!

Un’intera collezione di reperti marini catalogati ed esposti, utilizzati un tempo da noi studenti di maricoltura per fare orientamento a giovani diplomandi e invogliarli a scegliere come percorso universitario quello di maricoltura, oggi è stata sfigurata e lasciata lì ancora incustodita. Salendo ai piani superiori, con il ricordo di ciò che erano le nostre aule studio e laboratori, lo scenario non cambia: ringhiere e porte degli ascensori mancanti, bagni rotti, libri, fogli e documenti ovunque, ancora reperti marini rubati e sfregiati, laboratori messi sotto sopra, tutto distrutto anche qui!

Allora mi chiedo: come si può non custodire un Palazzo che contiene così tanto valore sia materiale che immateriale? Perché a distanza di mesi dai furti non è cambiato niente? Anche il grosso buco nella parete è ancora aperto.

Chiudere il corso di laurea in scienze della maricoltura, in una città di mare come Taranto è stata una mossa già di per sè sbagliata, ma prevedibile, visto che nei miei anni di frequenza ci veniva negato ogni diritto: i laboratori attrezzati non potevano essere utilizzati per mancanza di personale quale tecnico per la supervisione; per un periodo non ci veniva fornita neanche più la carta per fotocopie; la biblioteca non permetteva chissà quale documentazione; gli ascensori presenti non funzionavano; la sala informatica, inaugurata nel 2006, è stata chiusa dopo un anno e mai più riaperta, a causa del mancato rinnovo del contratto per la connessione da parte dell’università di Bari. Inoltre a rendere più beffardo il tutto, l’unica possibilità di magistrale, a conseguimento della triennale, è a Valenzano tra l’altro neanche inerente ai nostri studi. Potrei continuare con l’elenco, ma mi fermo qui.

La questione centrale, ora, è l’urgente necessità di recuperare il recuperabile, soprattutto la collezione di reperti marini e attrezzi della pesca per renderla fruibile. L’università di Bari e il Comune di Taranto non possono restare fermi d’avanti ad uno scandalo del genere. La città dei due mari, paradossalmente, non ha un museo del mare, che invece rappresenterebbe un forte richiamo per il turista e produrrebbe lavoro. Bene, questo potrebbe essere l’inizio!

Unendo ciò che resta del museo di maricoltura ad un’altra grande collezione di reperti marini, che è quella del prof. Pietro Parenzan e un tempo visitabile presso il Talassografico di via Roma, potrebbe essere allestita una parte del Palazzo, dando valore a quello che è un patrimonio sia immateriale di grande valenza della città che materiale. Se ci si impegnasse a rendere Palazzo Amati (costruito nella seconda metà del Settecento dal Barone Giacomo Amati), il luogo della cultura marinara, gli verrebbe restituita l’ormai persa dignità.

Dott.ssa Ileana Giunta Collaboratrice a.p.s. Le sciaje 

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