COMUNICATO STAMPA

E’ notizia della settimana scorsa quella della mancata ammissione del progetto comunale per il Museo Etnografico “Alfredo Majorano” alla fase istruttoria e selettiva del Bando pubblico per la “Riqualificazione e Valorizzazione del sistema museale” (Linea di intervento 4.2 – Azione 4.2.1 del PO FESR Puglia 2007/2013) a causa dell’assenza dei necessari allegati statuto/regolamento del museo, progetto esecutivo e piano di gestione economico.

Non è possibile astenersi dal denunciare questa gravissima imperizia dell’amministrazione comunale nell’espletare la procedura per il finanziamento di un museo già annunciato come pronto più di un anno fa e gli effetti della lacuna imposta al sistema museale tarantino.

Alfredo Majorano è stato cultore e profondo conoscitore della storia delle tradizioni popolari tarentine, un figlio della Città Vecchia. I suoi lavori, memorie demologiche e raccolte etnografiche, ottennero riconoscimenti ufficiali dall’etno-antropologo Alberto Maria Cirese, cittadino onorario di Taranto, in occasione della mostra del 1971 “Aspetti e ritualità del mondo magico e religioso del Tarantino” (organizzata in collaborazione tra gli altri con “la Voce del Popolo” di Antonio Rizzo) e della “Mostra di Attrezzi piscatori con documenti Storici” del 1978 (nell’ambito della rassegna estiva del Comune “Taranto e il Mare”). La “collezione Majorano” spazia dai costumi della religiosità popolare tarantina a raccolte di materiale audiovisivo di altissimo pregio, dalle terrecotte, piatti cerimoniali e vasi di ceramica grottagliese alle maioliche di Laterza, dalle figurazioni di presepi ai giochi tradizionali fino alle testimonianze delle attività piscatorie e mitilicole dei Due Mari, con attrezzi e ex voto dei pescatori della Città Vecchia, particolarmente preziose oggi mentre assistiamo alla rimozione della civiltà del mare e della mitilicoltura dal Mar Piccolo.

La collezione fu donata alla città come patrimonio comune ma, ancora e nonostante i tanti interventi di amministratori, accademici, studiosi e appassionati cultori, non riesce a trovare adeguata dimora. Originariamente era prevista nella prestigiosissima sede del Palazzo D’Ayala-Valva, sulla via Paisiello, forse la più bella tra le residenze nobiliari presenti sull’Isola, di proprietà comunale ma in totale stato di abbandono. Nel frattempo, parte della collezione ha trovato rifugio al primo piano e nell’ipogeo del Palazzo Galeota. Su entrambe le residenze insiste la lapide “Comune di Taranto Museo Etnografico Alfredo Maiorano”.

Il portone di Palazzo D'Ayala, tristemente adibito a nicchia per cassonetti

Oggi, sulla carta, è il secondo piano di Palazzo Pantaleo, già ristrutturato con diversi interventi pubblici, la sede della collezione Majorano, che resta però ancora non fruibile dalla cittadinanza.

L’ultima, amara beffa del mancato accesso ai fondi regionali non indica solo un grave problema gestionale ma rappresenta le negazione stessa della conoscenza delle radici culturali di Taranto.

Una rimozione di memorie storiche di inestimabile valore, strettamente collegate all’identità più vera di Taranto, quella della Città Vecchia e del Mar Piccolo. Rendere fruibile il patrimonio della cultura popolare e delle “classi subalterne” della parte bassa dell’Isola, da piazza Fontana fino alla Marina, con i suoi frammenti di vita quotidiana, le memorie marinare, le consuetudini diventate tradizione è, invece, necessità profonda ed urgente di una città stravolta che vuole ripianificare il suo futuro.

Il patrimonio museale tarantino ospita migliaia di visite all’anno grazie al M.Ar.Ta., al Castello Aragonese, al Mu.Di e ad altre esposizioni presenti sul territorio. Oltre ai fasti Magno Greci, la Taranto medioevale, settecentesca e preindustriale è riconosciuta a livello internazionale per un patrimonio storico-culturale che, se valorizzato e considerato come opportunità economica, costituirebbe la base per lo sviluppo di tante idee imprenditoriali innovative e intelligenti. Infatti, anche grazie alle tanto pubblicizzate Smart Idea e Start Up, molto spesso i piccoli poli storico-culturali sono retti da associazioni e gruppi di giovani professionisti che dedicano gran parte del proprio tempo alla diffusione della cultura e alla ricerca storica e sono abituati, per andare avanti, a rispondere a bandi di finanziamento.

Oggi le amministrazioni dovrebbero, come minimo gesto di onestà intellettuale, prendere coscienza dei propri limiti, aprirsi alla cittadinanza, valutare e accogliere le proposte di collaborazione delle “risorse umane” presenti e operanti in città, trasformando così passione e impegno volontario in opportunità lavorative. Per risollevare la già disastrosa immagine che le cronache riservano a Taranto non ci si può permettere di andare a tentoni. E’ invece necessaria la diffusione della cultura del territorio in forme non episodiche ma quotidianamente fruibili, che permettano di superare quel complesso di inferiorità che danneggia la percezione della città e dei suoi abitanti con le loro potenzialità. Questo si può fare incoraggiando quei piccoli ma virtuosi percorsi culturali e sociali di attivismo cittadino, testimonianza di un fermento che se non tempestivamente considerato riproporrà l’ormai consueta fuga dei cervelli che ha già generato la “diaspora tarantina”.

Diverse iniziative per tamponare questa falla possono essere intraprese: non piccole cerimonie, slogan fini a se stessi, lanci di notizie, vuote promesse e scaricabarile tra istituzioni ma conferenze di servizi, tavoli tecnici aperti, consigli comunali tematici che affrontino adeguatamente e tempestivamente le esigenze di rivalutazione culturale del territorio.

Ricordando che ogni euro speso bene per progetti culturali rappresenterà un fruttuoso investimento a lungo termine, rappresentando un valore aggiunto per le attività economiche del territorio, con un incremento trasversale di vita attiva e pulsante. Ogni euro perso, invece, porterà solo a nuovi biglietti di sola andata.

 

 

Il comunicato (parzialmente) pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno:

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